Buongiorno,
nella mia città (Nuoro) continuano gli eventi per celebrare il centenario della vincita del premio Nobel di Grazia Deledda. Vi posto qui un bellissimo articolo su uno spettacolo teatrale che ho visto la settimana scorsa che racconta 3 episodi della vita della scrittrice interpretata da Michela Murgia.
deledda a teatro
di Gianluca Corsi
nella mia città (Nuoro) continuano gli eventi per celebrare il centenario della vincita del premio Nobel di Grazia Deledda. Vi posto qui un bellissimo articolo su uno spettacolo teatrale che ho visto la settimana scorsa che racconta 3 episodi della vita della scrittrice interpretata da Michela Murgia.
deledda a teatro
di Gianluca Corsi
NUORO. La Grazia Deledda carnale e viva, sdoganata dall’evocazione “semplicemente” letteraria, che Marcello Fois ha rappresentato nel suo “Quasi Grazia”, non ha deluso le attese dell’esigente pubblico nuorese. Bastava cronometrare i dieci minuti di applausi nel finale – nelle due serate, già sold out da settimane, di avant’ieri e ieri sera al Teatro Eliseo – per capire quanto la Grazia/Michela Murgia, sostenuta dal devoto marito Palmiro Madesani/Marco Brinzi, avesse fatto breccia nel cuore degli spettatori.
La scelta di puntare sulla Murgia, sarda, scrittrice (al debutto in scena), impegnata per la difesa dei diritti delle donne, sembra aver dato ragione all’intuizione dello scrittore nuorese, cimentatosi per la prima volta nella stesura di un “romanzo in forma di teatro”, in cui viene svelata una Grazia Deledda non convenzionale, testardamente legata alla sua idea di donna libera di scrivere in un mondo che la osteggiava e contrastava senza tregua, in tre momenti cruciali della sua vicenda biografica. Già dalle prime scene, in cui viene rappresentata la partenza da Nuoro della ventinovenne Grazia, neo-sposa del funzionario continentale Palmiro Madesani, il rapporto contraddittorio con la famiglia (la madre, retaggio immobile, mai rassegnata davanti a un mondo che stava inesorabilmente cambiando, interpretata magistralmente da Lia Careddu, e Andrea, fratello problematico, impersonato dall’altrettanto convincente Valentino Mannias) è reso ancor più coinvolgente dai dialoghi contemporanei.
Ne viene fuori una Deledda reale, un po’ “dissacrata” rispetto solito cliché letterario in cui eravamo abituati a identificarla, finalmente compresa e orgogliosamente sostenuta dal pubblico della città da cui era quasi fuggita. E questa sintonia ritrovata – forte del dialogo costante tra Murgia, autrice contemporanea impegnata, e Grazia, scrittrice libera ed emancipata del Novecento – si conferma nel secondo “salto” biografico. A Stoccolma, quando una Deledda a correnti emotive alternate, contrastata da scrittori e accademici in Italia ma compresa e premiata all’estero, con il primo Nobel conferito a una scrittrice in lingua italiana, è costretta ad affrontare un’intervista “fastidiosa” con il giornalista svedese Ragnar (ancora Valentino Mannias), che ha il compito di ricordarle tutti i principali “topos” della sua opera. In un contesto in cui è sempre guardata a distanza dal più razionale e controllato marito, pronto ad intervenire per proteggerla.
Ma i fantasmi di Grazia, rappresentati sulla scena dalle intrusioni visionarie e immaginifiche (la madre è una presenza onirica costante), scaturite dall’incrocio con tre delle sue novelle più suggestive (Il cinghialetto, Un uomo e una donna, La martora), ricompaiono con forza nel terzo e ultimo atto della narrazione, ambientato a Roma. Solo allora l’autrice, ormai malata, rivela a un costernato Madesani e alla madre comparsa in visione, sempre aspra e severa, la ragione per cui i suoi personaggi sono destinati a soccombere, senza alcuno spazio per la consolazione. Ribadendo la necessità della letteratura di essere terreno fertile per la divagazione, per la mera descrizione, e confermando, così, l’atemporalità e l’eternità della sua poetica. Infine il ritorno ideale a Nuoro, con la Cosima (Quasi Grazia) che, sostenuta dall’immancabile Madesani, fa progetti sul suo ultimo capolavoro (quel romanzo di formazione che avrà proprio il titolo di Cosima), e gli confida l’auspicio di essere seppellita nel luogo dove tutto ha avuto inizio.
“Quasi Grazia”, produzione originale del Teatro di Sardegna per la regia di Veronica Cruciani, restituisce, dunque, una Deledda densa e originale, grazie anche alle scene e ai costumi di Barbara Bessi, essenziali nel riprodurre, con pannelli mobili, i tre fulcri temporali della biografia; alle atmosfere sonore curate da Francesco Medda, in arte Arrogalla – che ha montato
in chiave elettronica i suoni campionati dagli ambienti della Sardegna – e all’evocativo disegno luci di Loic François Hamelin e Gianni Staropoli.
Due le repliche programmate straordinariamente, sempre al TEN (Teatro Eliseo Nuoro): il 30 settembre alle 21 e il 1 ottobre alle 18.
La scelta di puntare sulla Murgia, sarda, scrittrice (al debutto in scena), impegnata per la difesa dei diritti delle donne, sembra aver dato ragione all’intuizione dello scrittore nuorese, cimentatosi per la prima volta nella stesura di un “romanzo in forma di teatro”, in cui viene svelata una Grazia Deledda non convenzionale, testardamente legata alla sua idea di donna libera di scrivere in un mondo che la osteggiava e contrastava senza tregua, in tre momenti cruciali della sua vicenda biografica. Già dalle prime scene, in cui viene rappresentata la partenza da Nuoro della ventinovenne Grazia, neo-sposa del funzionario continentale Palmiro Madesani, il rapporto contraddittorio con la famiglia (la madre, retaggio immobile, mai rassegnata davanti a un mondo che stava inesorabilmente cambiando, interpretata magistralmente da Lia Careddu, e Andrea, fratello problematico, impersonato dall’altrettanto convincente Valentino Mannias) è reso ancor più coinvolgente dai dialoghi contemporanei.
Ne viene fuori una Deledda reale, un po’ “dissacrata” rispetto solito cliché letterario in cui eravamo abituati a identificarla, finalmente compresa e orgogliosamente sostenuta dal pubblico della città da cui era quasi fuggita. E questa sintonia ritrovata – forte del dialogo costante tra Murgia, autrice contemporanea impegnata, e Grazia, scrittrice libera ed emancipata del Novecento – si conferma nel secondo “salto” biografico. A Stoccolma, quando una Deledda a correnti emotive alternate, contrastata da scrittori e accademici in Italia ma compresa e premiata all’estero, con il primo Nobel conferito a una scrittrice in lingua italiana, è costretta ad affrontare un’intervista “fastidiosa” con il giornalista svedese Ragnar (ancora Valentino Mannias), che ha il compito di ricordarle tutti i principali “topos” della sua opera. In un contesto in cui è sempre guardata a distanza dal più razionale e controllato marito, pronto ad intervenire per proteggerla.
Ma i fantasmi di Grazia, rappresentati sulla scena dalle intrusioni visionarie e immaginifiche (la madre è una presenza onirica costante), scaturite dall’incrocio con tre delle sue novelle più suggestive (Il cinghialetto, Un uomo e una donna, La martora), ricompaiono con forza nel terzo e ultimo atto della narrazione, ambientato a Roma. Solo allora l’autrice, ormai malata, rivela a un costernato Madesani e alla madre comparsa in visione, sempre aspra e severa, la ragione per cui i suoi personaggi sono destinati a soccombere, senza alcuno spazio per la consolazione. Ribadendo la necessità della letteratura di essere terreno fertile per la divagazione, per la mera descrizione, e confermando, così, l’atemporalità e l’eternità della sua poetica. Infine il ritorno ideale a Nuoro, con la Cosima (Quasi Grazia) che, sostenuta dall’immancabile Madesani, fa progetti sul suo ultimo capolavoro (quel romanzo di formazione che avrà proprio il titolo di Cosima), e gli confida l’auspicio di essere seppellita nel luogo dove tutto ha avuto inizio.
“Quasi Grazia”, produzione originale del Teatro di Sardegna per la regia di Veronica Cruciani, restituisce, dunque, una Deledda densa e originale, grazie anche alle scene e ai costumi di Barbara Bessi, essenziali nel riprodurre, con pannelli mobili, i tre fulcri temporali della biografia; alle atmosfere sonore curate da Francesco Medda, in arte Arrogalla – che ha montato
in chiave elettronica i suoni campionati dagli ambienti della Sardegna – e all’evocativo disegno luci di Loic François Hamelin e Gianni Staropoli.
Due le repliche programmate straordinariamente, sempre al TEN (Teatro Eliseo Nuoro): il 30 settembre alle 21 e il 1 ottobre alle 18.