DA LOLITA
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita»
Mi sovvengo di certi momenti, chiamiamoli iceberg in paradiso, in cui dopo essermi saziato di lei dopo sforzi insani e favolosi che mi lasciavano svigorito e striato d'azzurro – la prendevo tra le braccia con, alfine, un muto gemito d'umana tenerezza (la pelle scintillante nella luce al neon che filtrava, dal cortile lastricato, attraverso le liste della veneziana, le ciglia nero-fuliggine tutte appiccicate, i seri occhi grigi più vacui che mai –esattamente come una piccola paziente ancora intontita dall'anestesia dopo un'operazione importante) –, e la tenerezza diventava vergogna e disperazione, e io cullavo e ninnavo la mia leggera orfanella Lolita fra le braccia di marmo, e gemevo nei suoi capelli tiepidi, e l'accarezzavo a casaccio e in silenzio chiedevo la sua benedizione,e al culmine di questa tenerezza umana, angosciata, altruistica (l'anima letteralmente sospesa intorno al suo corpo nudo, e pronta a pentirsi), tutto d'un tratto, ironicamente, orribilmente, la lussuria si gonfiava di nuovo, e «oh,no»diceva Lolita con un sospiro rivolto al paradiso, e un attimo dopo la tenerezza e l'azzurro – tutto andava in pezzi.
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita»
Mi sovvengo di certi momenti, chiamiamoli iceberg in paradiso, in cui dopo essermi saziato di lei dopo sforzi insani e favolosi che mi lasciavano svigorito e striato d'azzurro – la prendevo tra le braccia con, alfine, un muto gemito d'umana tenerezza (la pelle scintillante nella luce al neon che filtrava, dal cortile lastricato, attraverso le liste della veneziana, le ciglia nero-fuliggine tutte appiccicate, i seri occhi grigi più vacui che mai –esattamente come una piccola paziente ancora intontita dall'anestesia dopo un'operazione importante) –, e la tenerezza diventava vergogna e disperazione, e io cullavo e ninnavo la mia leggera orfanella Lolita fra le braccia di marmo, e gemevo nei suoi capelli tiepidi, e l'accarezzavo a casaccio e in silenzio chiedevo la sua benedizione,e al culmine di questa tenerezza umana, angosciata, altruistica (l'anima letteralmente sospesa intorno al suo corpo nudo, e pronta a pentirsi), tutto d'un tratto, ironicamente, orribilmente, la lussuria si gonfiava di nuovo, e «oh,no»diceva Lolita con un sospiro rivolto al paradiso, e un attimo dopo la tenerezza e l'azzurro – tutto andava in pezzi.
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