vorrei citare qualche passo da la pelle che mi sta piacendo molto... è molto decadente. scusate il lungaggio, ma il libro è scritto troppo bene!
Forse era scritto che la libertà dell'Europa dovesse nascere non dalla liberazione, ma dalla peste. Forse era scritto che, come la liberazione era nata dalle sofferenze della schiavitù e della guerra, la libertà dovesse nascere dalle sofferenze, nuove e terribili, della peste portata dalla liberazione. La libertà costa cara. Molto più cara della schiavitù. E non si paga né con l'oro, né col sangue, né con i più nobili sacrifici: ma con la vigliaccheria, la prostituzione, il tradimento, con tutto il marciume dell'animo umano.
"I like Italian people. I like this bastard, dirty, wonderful people" "Lo so, Jack, che vuoi bene a questo povero, infelice, meraviglioso popolo. Nessun popolo sulla terra ha mai sofferto quanto il popolo napoletano. Soffre la fame e la schiavitù da venti secoli, e non si lamenta. Non maledice nessuno, non odia nessuno: neppure la sua miseria. Cristo era Napoletano"
"Non è accaduto nulla, in Europa" dissi.
"Nulla?" disse il Generale Guillaume "e la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i massacri, l'angoscia, il terrore, tutto questo è nulla per voi?"
"Oh, questo è niente" dissi "son cose da ridere, la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i campi di concentramento, tutte cose da ridere, sciocchezze, storie vecchie. In Europa, queste cose le conosciamo da secoli. Ci siamo abituati, ormai. Non sono queste le cose che ci hanno ridotti così."
"Che cosa, dunque, vi ha ridotti così?" disse il Generale Guillaume con voce un po' rauca.
"La pelle."
"La pelle? quale pelle?" disse il Generale Guillaume.
"La pelle" risposi a voce bassa "la nostra pelle, questa maledetta pelle. Voi non immaginate neppure di che cosa sia capace un uomo, di quali eroismi e di quali infamie sia capace, per salvar la pelle. Questa, questa schifosa pelle, vedete?" (E così dicendo mi afferravo con due dita la pelle del dorso della mano, e l'andavo tirando qua e là.) "Una volta si soffriva la fame, la tortura, i patimenti più terribili, si uccideva e si moriva, si soffriva e si faceva soffrire, per salvare l'anima, per salvare la propria anima e quella degli altri. Si era capaci di tutte le grandezze e di tutte le infamie, per salvare l'anima. Non la propria anima soltanto, ma anche quella degli altri. Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle, soltanto per la propria pelle. Tutto il resto non conta. Si è eroi per una ben povera cosa, oggi! Per una brutta cosa. La pelle umana è una cosa brutta. Guardate. E' una cosa schifosa. E pensare che il mondo è pieno di eroi pronti a sacrificare la propria vita per una cosa simile!"
L'incontro di un uomo e di un cane, è sempre l'incontro di due liberi spiriti, di due forme di dignità, di due morali gratuite. Il più gratuito, e il più romantico, degli incontri.
La politica italiana è basata sul principio fondamentale che c'è sempre qualcun altro che perde la guerra per conto dell'Italia.
E io dissi a Lino Pellegrini che mi sedeva accanto: "E' la bandiera dell'Europa, quella, è la nostra bandiera".
"Non è la mia bandiera" disse Pellegrini "un uomo morto non è la bandiera di un uomo vivo."
"Che cosa c'è scritto" dissi "in quella bandiera?"
"C'è scritto che un uomo morto è un uomo morto."
"No" dissi "leggi bene: c'è scritto che un uomo morto non è un uomo morto."
"No" disse Pellegrini "un uomo morto non è che un uomo morto. Che cosa vuoi che sia, un uomo morto?"
"Ah, tu non sai che cos'è un uomo morto. Se tu sapessi che cos'è un uomo morto non dormiresti più."
"Ora vedo" disse Pellegrini "che cosa c'è scritto in quella bandiera. C'è scritto: bisogna che i morti seppelliscano i morti."
"No, c'è scritto che quella bandiera è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle."
Ora capivo la ragione di quell'odio, di quella furia omicida che mi mordeva dentro, che bruciava le viscere di tutti i popoli d'Europa: era il bisogno di odiar qualcosa di vivo, di caldo, di umano, di nostro, qualcosa di simile a noi; qualcosa che fosse della nostra stessa razza, che appartenesse alla nostra stessa patria, la vita: non già quegli stranieri che avevano invaso l'Europa, e immoti, freddi, lividi, le occhiaie vuote, opprimevano da cinque anni la nostra patria, la vita, soffocando la nostra libertà, la nostra dignità, l'amore, la speranza, la giovinezza, sotto il peso immane della loro carne diaccia. Quel che ci scagliava come lupi contro i nostri fratelli, quel che in nome della libertà gettava i francesi contro i francesi, gli italiani contro gli italiani, i polacchi contro i polacchi, i romeni contro i romeni, era il bisogno di odiar qualcosa di simile a noi, di nostro, "qualcosa in cui ci potessimo riconoscere e odiare"
Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro La pelle, e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perché l'uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell'umiliazione. L'uomo nella sua fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, è uno spettacolo ripugnante.
Forse era scritto che la libertà dell'Europa dovesse nascere non dalla liberazione, ma dalla peste. Forse era scritto che, come la liberazione era nata dalle sofferenze della schiavitù e della guerra, la libertà dovesse nascere dalle sofferenze, nuove e terribili, della peste portata dalla liberazione. La libertà costa cara. Molto più cara della schiavitù. E non si paga né con l'oro, né col sangue, né con i più nobili sacrifici: ma con la vigliaccheria, la prostituzione, il tradimento, con tutto il marciume dell'animo umano.
"I like Italian people. I like this bastard, dirty, wonderful people" "Lo so, Jack, che vuoi bene a questo povero, infelice, meraviglioso popolo. Nessun popolo sulla terra ha mai sofferto quanto il popolo napoletano. Soffre la fame e la schiavitù da venti secoli, e non si lamenta. Non maledice nessuno, non odia nessuno: neppure la sua miseria. Cristo era Napoletano"
"Non è accaduto nulla, in Europa" dissi.
"Nulla?" disse il Generale Guillaume "e la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i massacri, l'angoscia, il terrore, tutto questo è nulla per voi?"
"Oh, questo è niente" dissi "son cose da ridere, la fame, i bombardamenti, le fucilazioni, i campi di concentramento, tutte cose da ridere, sciocchezze, storie vecchie. In Europa, queste cose le conosciamo da secoli. Ci siamo abituati, ormai. Non sono queste le cose che ci hanno ridotti così."
"Che cosa, dunque, vi ha ridotti così?" disse il Generale Guillaume con voce un po' rauca.
"La pelle."
"La pelle? quale pelle?" disse il Generale Guillaume.
"La pelle" risposi a voce bassa "la nostra pelle, questa maledetta pelle. Voi non immaginate neppure di che cosa sia capace un uomo, di quali eroismi e di quali infamie sia capace, per salvar la pelle. Questa, questa schifosa pelle, vedete?" (E così dicendo mi afferravo con due dita la pelle del dorso della mano, e l'andavo tirando qua e là.) "Una volta si soffriva la fame, la tortura, i patimenti più terribili, si uccideva e si moriva, si soffriva e si faceva soffrire, per salvare l'anima, per salvare la propria anima e quella degli altri. Si era capaci di tutte le grandezze e di tutte le infamie, per salvare l'anima. Non la propria anima soltanto, ma anche quella degli altri. Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle, soltanto per la propria pelle. Tutto il resto non conta. Si è eroi per una ben povera cosa, oggi! Per una brutta cosa. La pelle umana è una cosa brutta. Guardate. E' una cosa schifosa. E pensare che il mondo è pieno di eroi pronti a sacrificare la propria vita per una cosa simile!"
L'incontro di un uomo e di un cane, è sempre l'incontro di due liberi spiriti, di due forme di dignità, di due morali gratuite. Il più gratuito, e il più romantico, degli incontri.
La politica italiana è basata sul principio fondamentale che c'è sempre qualcun altro che perde la guerra per conto dell'Italia.
E io dissi a Lino Pellegrini che mi sedeva accanto: "E' la bandiera dell'Europa, quella, è la nostra bandiera".
"Non è la mia bandiera" disse Pellegrini "un uomo morto non è la bandiera di un uomo vivo."
"Che cosa c'è scritto" dissi "in quella bandiera?"
"C'è scritto che un uomo morto è un uomo morto."
"No" dissi "leggi bene: c'è scritto che un uomo morto non è un uomo morto."
"No" disse Pellegrini "un uomo morto non è che un uomo morto. Che cosa vuoi che sia, un uomo morto?"
"Ah, tu non sai che cos'è un uomo morto. Se tu sapessi che cos'è un uomo morto non dormiresti più."
"Ora vedo" disse Pellegrini "che cosa c'è scritto in quella bandiera. C'è scritto: bisogna che i morti seppelliscano i morti."
"No, c'è scritto che quella bandiera è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle."
Ora capivo la ragione di quell'odio, di quella furia omicida che mi mordeva dentro, che bruciava le viscere di tutti i popoli d'Europa: era il bisogno di odiar qualcosa di vivo, di caldo, di umano, di nostro, qualcosa di simile a noi; qualcosa che fosse della nostra stessa razza, che appartenesse alla nostra stessa patria, la vita: non già quegli stranieri che avevano invaso l'Europa, e immoti, freddi, lividi, le occhiaie vuote, opprimevano da cinque anni la nostra patria, la vita, soffocando la nostra libertà, la nostra dignità, l'amore, la speranza, la giovinezza, sotto il peso immane della loro carne diaccia. Quel che ci scagliava come lupi contro i nostri fratelli, quel che in nome della libertà gettava i francesi contro i francesi, gli italiani contro gli italiani, i polacchi contro i polacchi, i romeni contro i romeni, era il bisogno di odiar qualcosa di simile a noi, di nostro, "qualcosa in cui ci potessimo riconoscere e odiare"
Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro La pelle, e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perché l'uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell'umiliazione. L'uomo nella sua fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, è uno spettacolo ripugnante.
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