Originariamente postato da f. logan
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Non sono molto d'accordo....tutte e quattro le piccole donne hanno pregi e difetti, è questo che le rende così verosimili e attuali. Per quanto riguarda la "perfezione" di Meg....ricordiamoci che nel primo libro porta sempre abiti sciupati, alla fine quando il papà torna a casa le prende la mano e le dice che una volta quella mano era bianca e perfetta, ma lui la preferisce ora che ha una bruciatura e dei segni perché è una mano che ha lavorato; e dopo che si sposa vi ricordate l'episodio della gelatina di ribes?Oltrepassiamo i nostri ponti dopo esserci arrivati, e ce li bruciamo alle spalle, e niente mostra il cammino percorso, tranne il ricordo dell'odore del fumo, e la sensazione che una volta i nostri occhi hanno lacrimato.
Tom Stoppard
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Originariamente postato da Chetenefrega View Postanche io nn sopportavo nè meg nè amy,mentre adoravo da matti jo e beth mi faceva sempre venire i lacrimoni
tu...(noe) mi manchiSa Nugoresa:A ti facher sa corte est un impresa, no’ nde cheres nemmancu a coro in manu menzus riccu mancari non sia’ sanu o tzeraccu fachendeti s’ispesa.Hai ragione, non ti aiuto... te la impiastro direttamente
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Originariamente postato da Alyssa View PostNon sono molto d'accordo....tutte e quattro le piccole donne hanno pregi e difetti, è questo che le rende così verosimili e attuali. Per quanto riguarda la "perfezione" di Meg....ricordiamoci che nel primo libro porta sempre abiti sciupati, alla fine quando il papà torna a casa le prende la mano e le dice che una volta quella mano era bianca e perfetta, ma lui la preferisce ora che ha una bruciatura e dei segni perché è una mano che ha lavorato; e dopo che si sposa vi ricordate l'episodio della gelatina di ribes?
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Originariamente postato da Vaniglia View Postsì ma non cambia il fatto che aveva sempre la predica in tasca per tutti ; ) insomma, è verosimile perchè anche nella realtà ci sono le sapientone che vogliono aver sempre ragioneSa Nugoresa:A ti facher sa corte est un impresa, no’ nde cheres nemmancu a coro in manu menzus riccu mancari non sia’ sanu o tzeraccu fachendeti s’ispesa.Hai ragione, non ti aiuto... te la impiastro direttamente
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“ Allora pensò che per quanto la vita sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l’unico desiderio di ritornare all’inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi, una volta, da quell’inferno, ci ha salvato. Provò a chiedersi da dove venisse quell’assurda fedeltà all’orrore, ma scoprì di non avere risposte. Capiva solo che nulla è più forte di quell’istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell’istante per anni. Solo pensando che chi ci ha salvati una volta lo possa poi fare per sempre. In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo. Ma d’improvviso clemente. E senza sangue."
Alessandro Baricco da Senza sangueFino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?
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Lamento di Portnoy, Philip Roth (ps, avevi ragione Adri, ma ero preparata per fortuna)
"Poi arrivò l'adolescenza. Trascorrevo metà della mia vita da sveglio chiuso a chiave nel bagno, spremendomi il pisello nella tazza del gabinetto o nei panni sporchi del portabian*cheria, o s-ciàcc, contro lo specchio dell'armadietto dei medici*nali, di fronte al quale stavo ritto con le brache calate per vedere com'era quando schizzava fuori. Oppure mi piegavo in due so*pra il pugno in azione, con gli occhi chiusi e la bocca ben spa*lancata, per ricevere quella salsa appiccicosa di panna e Cif Am*moniacal sulla lingua e i denti; sebbene non di rado, nella mia cieca estasi, me la beccassi tutta sui riccioli, come un'esplosione di Tricofilina. Attraverso un mondo di fazzoletti sgualciti e klee*nex appallottolati e pigiama macchiati, agitavo il mio pene turgi*do e infiammato, nell'eterno terrore che la mia schifosità venisse scoperta e qualcuno mi piombasse addosso proprio nell'istante frenetico in cui deponevo il mio carico. Nonostante ciò, ero del tutto incapace di tenermi le zampe lontane dal batacchio, una volta che cominciava a salirmi su per la pancia. Nel bel mezzo di una lezione alzavo la mano per chiedere il permesso, mi precipi*tavo ai gabinetti e con dieci o quindici botte selvagge mi mastur*bavo in piedi davanti a un orinale. Allo spettacolo del sabato po*meriggio, lasciavo i miei amici per andare al distributore di ca*ramelle, poi mi appartavo in un angolo vuoto del cinema e schizzavo il mio seme nell'incarto vuoto di una tavoletta di Mounds. Durante una gita del nostro gruppetto familiare estras*si il torsolo di una mela, notai stupito (e sull'onda della mia os*sessione) a cosa somigliava, e corsi nella boscaglia per stender*mi sull'orifizio del frutto, fantasticando che quel forame fresco e farinoso si trovasse in realtà ubicato tra le cosce della mitica en*tità che mi chiamava sempre Maschione, quando pietiva qualco*sa che nessuna ragazza nell'arco della storia aveva mai ricevuto. «Ah, Maschione, ficcamelo dentro» rantolava la mela cavata che mi sbattei come uno scemo durante quel picnic. «Maschione, Maschione, sì, dammelo tutto» implorava la bottiglia vuota del latte che tenevo nascosta in un ripostiglio del seminterrato, da infilare vigorosamente dopo la scuola con il mio pinnacolo inva*selinato. «Vieni, Maschione, vieni» gridava impazzita la bistecca di fegato che, nella mia insania, avevo comprato un pomeriggio dal macellaio e, ci creda o no, violentato dietro un cartellone mentre andavo a lezione per il bar mitzvah.Fu al termine del primo anno del liceo - nonché primo anno di masturbazione - che mi scoprii sulla parte inferiore del pene, proprio dove il canale incontra la testa, una macchiolina scolorita successivamente diagnosticata come efelide. Cancro. Mi ero provocato il cancro. Tutto quel tirarmi e strapazzarmi la carne, tutto quello sfregamento, mi aveva procurato un male incurabi*le. E non ero ancora quattordicenne! Di notte, a letto, le lacrime mi rigavano le guance. «No!» singhiozzavo. «Non voglio morire! Per carità... no!». Ma poi, visto che comunque sarei diventato un cadavere entro breve tempo, proseguii secondo abitudine e con*tinuai a tirarmi le seghe dentro un calzino. Avevo cominciato a portarmi a letto le calze sporche, in modo da usarne una come ricettacolo serale e l'altra al momento del risveglio.
Se soltanto fossi riuscito a contenere i rasponi a uno al giorno, o stabilizzarmi sui due, massimo tre! Ma con la prospettiva dell'oblivione in agguato, cominciai ad accumulare nuovi prima*ti personali. Prima dei pasti. Dopo i pasti. Durante i pasti. A cena balzo in piedi afferrandomi tragicamente la pancia: diarrea! ur*lo, ho un attacco di diarrea!, e appena chiusa a chiave la porta del bagno, mi infilo sulla testa un paio di mutande sottratte al guardaroba di mia sorella e tenute in tasca arrotolate in un faz*zoletto. Leffetto delle mutandine di cotone sulla mia bocca è co*sì galvanizzante - la parola «mutandine» è così galvanizzante che la traiettoria della mia eiaculazione raggiunge nuove, sensa*zionali altezze: decollando dalla fava come un missile prende la rotta per la lampadina soprastante dove, con mio orripilato stu*pore, si spiaccica spenzolante. Sulle prime mi copro disperata*mente il capo aspettandomi una pioggia di vetri, un'esplosione di fiamme (il disastro, vede, non è mai lontano dai miei pensie*ri). Poi, con la massima calma possibile, monto sul calorifero per rimuovere quel coagulo sfrigolante con una pallottola di car*ta igienica. Avvio una scrupolosa ispezione alle tende della doc*cia, alla vasca da bagno, al pavimento piastrellato, ai quattro spazzolini - Dio ci scampi! - e proprio quando sto per aprire la porta convinto di avere coperto le mie tracce, il cuore mi balza in gola alla vista dello scaracchio che mi imbratta la punta della scarpa. Sono il Raskolnikov delle pugnette: la collosa evidenza è ovunque! Ce l'ho anche sui polsini? nei capelli? nelle orecchie? Mi chiedo tutto ciò mentre torno al tavolo di cucina, borbottan*do con aria di dignità offesa quando mio padre apre la bocca piena di marmellata rossa per dire: «Non capisco perché ti chiu*di a chiave. Va al di là della mia comprensione. Che è questa, una casa o la Stazione Centrale?». «... privacy... un essere uma*no... qui dentro mai» ribatto, poi spingo da parte il mio dessert e strillo: «Non mi sento bene... mi lascereste in pace, tutti quanti?».Dopo il dessert - lo finisco perché succede che mi piaccia an*che se detesto loro - dopo il dessert torno di nuovo in bagno. Frugo nei panni sporchi della settimana finché trovo uno dei reggiseni di mia sorella. Lego una spallina alla maniglia della porta, l'altra a quella dell'armadietto degli asciugamani: uno spaventapasseri per coltivare nuovi sogni. «Oh, ménatelo, Ma*schione, fattelo rosso...», così vengo incalzato dalle coppette del reggiseno di Hannah, quando un giornale arrotolato picchia sul*la porta. Io e il contenuto della mia mano facciamo un balzo sull'asse del gabinetto. «Dài, lascia sedere anche qualcun altro su quella tazza» dice mio padre. «È una settimana che ho !'intesti*no bloccato».Recupero il sangue freddo, esercizio in cui sono impagabile, con uno scoppio di indignazione. «Ho una diarrea spaventosa! Non ha nessun significato in questa casa?»... riprendendo con*temporaneamente a menarmelo, anzi accelerando il ritmo men*tre il mio organo canceroso ricomincia miracolosamente a ri*mettere fuori la testa.Poi il reggiseno di Hannah inizia a muoversi. A ondeggiare qua e là! Mi copro gli occhi, e toh! Lenore Lapidus! che ha le tet*te più grosse della classe; quando corre all'autobus dopo la scuo*la, il suo grande intangibile carico ondeggia pesante all'interno della camicia, oh le faccio sgusciare dalle coppe ed ecco le au*tentiche poppe di Lenore Lapidus, e nella medesima frazione di secondo realizzo che mia madre sta scuotendo vigorosamente la maniglia. E dài e dài mi sono finalmente dimenticato di chiu*derla a chiave! Sapevo che un giorno sarebbe successo! Beccato! come dire morto!..."
Ieri sera l'ultima frase che ho letto è stata: "Mi sono chiavato la nostra cena"
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Originariamente postato da Akimina View Postpure ioè scritto troppo bene, lui poi mi sta simpatico nonostante tutto.
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