lo cerco allora! * uff ma perché non abitiamo vicino? ce li potremmo scambiare manualmente*
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[LIBRI] Citazioni
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da il teatro di sabbath (scusate il linguaggio e il lungaggio .):
Essere morti è peggio perfino di sapere che si morirà?
La maggior parte degli uomini deve sistemare le scopate attorno ai bordi di quelle che definisce faccende più importanti: far soldi, potere, politica, moda e Dio solo sa cos'altro...lo sci. Ma Sabbath si era semplificato la vita e aveva sistemato tutto il resto attorno alle scopate.
Tutto fugge a cominciare dalla tua identità, e a un certo momento - un momento imprecisabile - arrivi quasi a capire che quel tuo antagonista spietato sei sempre tu
La gamma dei suoi piaceri era assai ristretta e non comprendeva neppure il telegiornale della sera. Sabbath era ridotto allo stesso modo in cui si riduce un sugo, bollendo sul fuoco che gli avevano acceso sotto, per meglio concentrare la propria essenza ed essere spavaldamente se stesso.
-La mia mente? Be', che sorpresa. Credevo che tu amassi il mio antico pene. La mia mente? E' un bello scossone, per un uomo della mia età. Davvero ci sei stata solo per la mia mente? Oh, no. Così tutte le volte in cui ti parlavo di scopare tu mi osservavi mentre mettevo in mostra la mia mente! Concedevi alla mia mente un'attenzione non richiesta! Hai osato introdurre un elemento astratto in un contesto che non lo prevedeva. Aiuto! Ho subito delle molestie mentali! Aiuto! Sono vittima di molestie mentali! Dio, mi sta venendo una colica gastrointestinale! Mi hai estorto delle prestazioni mentali senza il mio consenso e senza addirittura che me ne accorgessi! Tu mi hai umiliato! Hai umiliato il mio uccello! Chiama la preside! Il mio ***** è stato decaricato!
Sì, sì, sì, provava una incontrollabile tenerezza nei confronti della propria merdosissima vita. E una ridicola brama di averne ancora. Ancora sconfitte! Ancora delusioni! Ancora inganni! Ancora solitudine! Ancora artrite! Ancora missionari! Se Dio vuole, ancora figa! Ancora disastrosi impegolamenti in qualsiasi cosa. Per la pura sensazione di sentirsi tumultuosamente vivi, non c'è niente di meglio che il lato canagliesco dell'esistenza. Non sarò mai stato un idolo delle platee, ma dite di me quel che volete, la mia è stata una vita veramente umana!
Si propone di classificare la felicità tra i disordini mentali e di includerla nelle future edizioni dei principali manuali di diagnostica sotto questo nome: disordine affettivo primario, di tipo piacevole. Da un esame dei principali testi risulta che la felicità è statisticamente anormale, consiste di un discreto conglomerato di sintomi, è associata ad una vasta gamma di anormalità cognitive, e probabilmente riflette un anormale funzionamento del sistema nervoso centrale. Una delle principali obiezioni alla proposta è che della felicità non si dà una valutazione negativa. Comunque è un'obiezione trascurabile dal punto di vista scientifico.
- Ehi, Babbo Natale! Ho tre anni, hanno messo il nonno dentro una scatola!
La scatola la notavano tutti. A qualunque età, la vista di quella scatola ti colpiva. Chiunque di noi non occupa più spazio di così. Possiamo essere immagazzinati come scarpe, spediti via mare come insalata. Il sempliciotto che ha inventato la bara era un genio poetico ed era molto spiritoso.
In quanta stupidità dobbiamo calarci per giungere alla nostra meta, quali sconfinati errori bisogna saper commettere! Se qualcuno te lo dicesse prima, quanti errori dovrai fare, tu diresti no, mi spiace, è impossibile, trovatevi qualcun'altro; io sono troppo furbo per fare tutti quegli errori. E loro ti direbbero, noi abbiamo fede, non preoccuparti, e tu diresti no, niente da fare, avete bisogno di uno molto più schmuck [*******e] di me, ma loro ripeterebbero che hanno fede in te, che tu ti trasformerai in uno schmuck colossale mettendoci un impegno che neanche ti immagini, che farai sbagli di una grandezza che neanche te li sogni... perché è l'unico modo per giungere alla meta.
Dopo due dècadi
decàdi.
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da la diva julia, un pezzo del dialogo con suo figlio (una delle parti più belle):
«Una sera, da ragazzino, avrò avuto quattordici anni, stavo tra le quinte a vederti recitare. Doveva essere una bella scena, tu dicevi le tue battute con tanta sincerità e quello che dicevi era così commovente che mi venne da piangere. Ero tutto sovreccitato, mi sentivo, non so come dire, elevato. Partecipavo alla tua sofferenza, mi sentivo un piccolo eroe; mi pareva che mai più avrei fatto un’azione bassa, meschina. E poi tu sei venuta in fondo alla scena, vicino a dov’ero io, con le lacrime che ti colavano sul viso; e dando la schiena al pubblico hai detto al direttore di scena, con la tua voce normale: cosa diavolo combina l’elettricista? gli avevo detto di togliere la luce blu. E un istante dopo ti sei girata verso il pubblico con un grido di angoscia e hai continuato la scena».
«Tesoro, ma era una recita. Se un’attrice sentisse davvero le emozioni che rappresenta andrebbe in pezzi. Ricordo bene quella scena. Faceva crollare il teatro. Non ho mai avuto tanti applausi in vita mia».
«Fui sciocco, suppongo, a farmi coinvolgere. Credevo che quel che dicevi ti venisse dal cuore. Quando ho visto che era tutto finzione, qualcosa si è rotto. Da allora non ho più creduto in te. Ero stato preso in giro una volta: decisi di non cascarci più».
Julia gli sorrise, il suo sorriso delizioso e disarmante.
«Mi pare, tesoro, che tu dica sciocchezze».
«Naturale. Tu non distingui tra verità e finzione. Non smetti mai di recitare, per te è una seconda natura. Reciti quando ci sono degli ospiti. Reciti con i domestici, reciti con papà, reciti con me. Con me reciti la parte della madre amorosa e indulgente, e celebre. Tu non esisti, sei solo le parti innumerevoli che hai interpretato. Mi sono chiesto spesso se esistesse un “tu” o se tu non fossi altro che un veicolo per tutte queste altre persone che fingevi di essere. Quando ti vedevo entrare in una stanza vuota, certe volte volevo aprire la porta d’improvviso, ma temevo di non trovarci nessuno».
[...]
A Julia veniva da sorridere, ma non permise che l’espressione di dignità addolorata le lasciasse il volto.
«È la nostra debolezza, non la nostra forza, a renderci cari a coloro che ci amano» replicò.
«Questo in che commedia lo dicevi?»
Lei represse un gesto di irritazione. Le parole le erano salite spontaneamente alle labbra, ma dicendole si era accorta che appartenevano a un testo teatrale. Che carognetta! Comunque, venivano a proposito.
«Sei duro» disse con voce lamentosa. Sempre più si sentiva come la madre di Amleto. «Non mi vuoi bene?».
«Te ne vorrei, se ti trovassi. Ma dove sei? Se uno ti spogliasse del tuo esibizionismo e della tua tecnica, se ti sbucciasse come si fa con una cipolla, togliendo un velo dopo l’altro di insincerità e di finzione, di citazioni da vecchie parti e di brandelli di emozioni non tue, arriverebbe finalmente a un’anima?». La guardò con i suoi occhi seri e tristi, e poi accennò un sorriso. «Certo che ti voglio bene».
«Ci credi, che io te ne voglio?».
«A modo tuo».
La faccia di Julia si scompose all’improvviso.
«Sapessi il mio tormento quando eri malato! Non so cosa avrei fatto se morivi!».
«Avresti dato una splendida interpretazione della madre affranta sulla bara del suo unico figlio».
[...]
Julia era turbata. Ciò che egli diceva non la penetrava realmente fino all’intelletto, le sue parole erano battute e l’importante non era cosa significassero, ma se «funzionavano»; tuttavia era sensibile all’emozione che percepiva in lui. Certo, aveva solo diciotto anni, non era il caso di prenderlo troppo sul serio, probabilmente ripeteva cose sentite da altri, e c’era dentro parecchia posa. C’era qualcuno che avesse idee proprie, c’era chi non posasse un briciolo? Ma naturalmente poteva darsi che Roger al momento ci credesse veramente, e non sarebbe stato carino riderci sopra.
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«Vedi, tu non capisci che recitare non c'entra con la natura; è arte, e l'arte è qualcosa che crei. Il dolore reale è brutto; compito dell'attore è rappresentarlo non solo con verità ma con bellezza. Se morissi davvero come muoio in scena quando capita, credi che mi curerei dei gesti, che siano aggraziati, e che le parole che balbetto siano abbastanza chiare da arrivare fino all'ultima fila del loggione? Se è tutto falso non è più falso di una sonata di Beethoven, e io non sono più falsa del pianista che la suona ».
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Dopo due dècadi
decàdi.
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da molto forte, incredibilmente vicino (scusate il papiro, ma se potessi citerei tutto il libro!):
Comunque, la cosa affascinante è che su "National Geographic" ho letto che ci sono più persone vive oggi di quante ne sono morte in tutta la storia dell'uomo. Per dire, se tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente, non ci sarebbero abbastanza teschi.
Dopo un po', papà mi ha domandato se ero sveglio. Gli ho risposto di no, perché sapevo che non gli piaceva andare via prima che mi fossi addormentato, e non volevo che la mattina dopo, a lavoro, fosse stanco.
Io penso, penso, penso, pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte e mai una volta che vi sia entrato.
Quella sera, a letto, ho inventato uno scarico speciale da mettere sotto tutti i cuscini di New York, collegato al laghetto di Central Park. Ogni volta che qualcuno di addormentava piangendo, tutte le lacrime sarebbero finite nello stesso posto e poi al mattino al bollettino meteo avrebbero detto se il livello delle acque del Laghetto delle Lacrime era salito o sceso, così la gente poteva sapere se le scarpe di New York erano pesanti.
"Nella situazione della nonna una persona può sentirsi un pò sola, che dici?" Le avevo risposto: " una persona può sentirsi un pò sola nella situazione di chiunque"
Perché, esattamente, valeva la pena di vivere? Che c'è di così orrendo nell'essere morti per sempre e non provare niente, non sognare nemmeno? Che c'è di così fantastico nel provare sensazioni e far sogni?
Ho passato la vita imparando a sentire di meno. Sento di meno ogni giorno. È la vecchiaia? O qualcosa di peggio? Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi dalla felicità.
Che rimpianto, pensare che serve una vita per imparare a vivere una vita, Oskar.
Anche dopo che l'ho perduto la memoria del suo braccio mi avvolge come il suo braccio.
Perché mi lasci?
Lui scrisse: non so come vivere.
Neanch'io, ma sto tentando.
Non so come tentare.
C’erano cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male a me.
Lei è morta fra le mie braccia dicendo: «Non voglio morire». La morte è questo. Non conta la divisa che indossano i soldati. Non conta quanto sono buone le armi. Ho pensato che se tutti avessero visto quello che io ho visto non ci sarebbero state guerre, mai più.
Martedì pomeriggio sono dovuto andare dal dottor Fein. Non capivo perché avevo bisogno di aiuto, dato che a me sembrava che quando muore il tuo papà è naturale avere le scarpe pesanti, e se NON le hai, ALLORA Sì che ti serve aiuto. [...]
"Perché credi di essere qui, Oskar?" "Sono qui, dottor Fein, perché mia madre è turbata dal fatto che trovo la mia vita impossibile." "E la cosa non dovrebbe turbarla?" "Niente affatto. La vita è impossibile."
«Cosa credi che ti stia succedendo?» «Che sento troppo. Ecco che succede.» «Ma tu credi possibile che una persona senta troppo? Non è che sente solo nel modo sbagliato?» «II mio dentro non corrisponde al mio fuori.» «Credi esista qualcuno con il dentro che corrisponde al fuori?» «Non lo so. Sono solo io.» «Forse la personalità è proprio questo: la differenza fra il dentro e il fuori.» «Ma per me è peggio.» «Temo che tutti credano che per loro sia peggio.» «Probabile. Ma per me è peggio davvero.»
«Cara Anna, vivremo in una casa senza muri, così ovunque andremo sarà la nostra casa.» [...] Non stavo cercando di inventare case sempre migliori, ma di dimostrare che le case non importavano, che potevamo vivere in qualsiasi casa, in qualsiasi città, in qualsiasi nazione, in qualsiasi secolo, ed essere felici, come se il mondo fosse solamente quello in cui vivevamo.
Quando avevo creduto di morire, ai piedi del ponte di Loschwitz, nella mia mente c'era un solo pensiero: Continua a pensare. Pensare mi avrebbe tenuto vivo. Ma adesso sono vivo, e pensare mi uccide.
Ho tanta paura di perdere qualunque altra cosa amata, che non voglio amare niente.
«Che cosa ama di questo grattacielo?» le ha chiesto Mr Black. Lei ha risposto: «Se sapessi rispondere non sarebbe vero amore, giusto?»
Gli errori che ho fatto sono morti, per me. Ma non posso ritirare le cose che non ho mai fatto.
E’ meglio perdere che non avere mai avuto. Io ho perso qualcosa che non ho mai avuto.
Lui ha scritto: «Ho perso un figlio». «Veramente?» Mi ha fatto vedere il palmo sinistro. «Com'è morto?» «L'ho perso prima che morisse.»«Come?»«Sono andato via.»«Perché?» Ha scritto: «Avevo paura». «Paura di che cosa?»«Paura di perderlo.»«Avevi paura che morisse?»«Avevo paura che vivesse.»«Perché?» Ha scritto: «La vita è più spaventosa della morte».
Dopo due dècadi
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da "Il buio oltre la siepe"
Sentivo le sue mani tirar su la coperta fino al mento, rimboccandomela tutta attorno.
"Quasi tutti son simpatici, Scout, quando finalmente si riescono a capire."
Spense la luce e tornò in camera di Jem: tutta la notte sarebbe rimasto con lui, e sarebbe stato ancora lì al risveglio di Jem, al mattino.
Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?
Io credo che la gente sia di un tipo solo: gente, e basta!
Volevo che tu imparassi una cosa da lei: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta si vince.
e infine...
Boo era nostro vicino. Ci aveva regalato due figurine di sapone, un orologio rotto con la catena, un paio di monetine portafortuna, e le nostre vite. Ma i vicini ricambiano i doni. Noi, invece, non avevamo mai rimesso nel tronco dell'albero quel che vi avevamo preso: non gli avevamo regalato niente, e questo mi rendeva triste.
LacrimoniFino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?
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